ALLA RICERCA DELLA CONTRATTAZIONE NELL’EPOCA DEL LAVORO DIGITALE

ALLA RICERCA DELLA CONTRATTAZIONE NELL’EPOCA DEL LAVORO DIGITALE

05 maggio 2018

Anche per il Lavoro gestito con piattaforme digitali nell’era della gig economy (sia tramite app di uno smartphone o con un sito internet) con la sua progressiva affermazione e diffusione, è giunto il momento della svolta nella regolamentazione che non può più essere solo affidata ad algoritmi e neanche attendere la sola regolamentazione dei legislatori o quella determinata dai tempi della giustizia, troppo lenti rispetto ai tempi della realtà, in forte accelerazione, della società.

La recente Sentenza del Tribunale di Torino che ha stabilito che i ricorrenti, sei fattorini della catena di consegna di cibo a domicilio Foodora (società tedesca operante anche in Italia) non sono lavoratori dipendenti con rapporto subordinato, ha almeno il merito di porre la questione all’attenzione dell’opinione pubblica e delle parti sociali.

La Società, dopo le mobilitazioni dei lavoratori del 2016 per ottenere migliori condizioni di lavoro, aveva interrotto improvvisamente il rapporto di lavoro ritenendo i 6 ricorrenti inquadrati come lavoratori autonomi

I difensori dei sei lavoratori sostenevano la sostanziale esistenza di un rapporto di lavoro dipendente sulla base di alcune caratteristiche:

·         la reperibilità continua;

·         l’esclusione se non si seguivano con continuità le indicazioni ricevute;

·         Il controllo e la valutazione costante tramite la geolocalizzazione dei lavoratori

Addirittura, per una parte della difesa, l’app era simile ad un braccialetto elettronico di controllo e utile per una sorta di classifica a punti per mantenere il posto di lavoro.

La controparte sosteneva la natura di lavoro autonomo del rapporto, supportata dalle seguenti modalità di svolgimento:

·         La libera scelta dei lavoratori del se, quando e quanta prestazione lavorativa rendere;

·         La mancanza di vincoli circa la prestazione lavorativa minima per il lavoratore e di offerta dell’Azienda;

·         La mancanza nei controlli dei presupposti dell’articolo 4 della legge 300/1970, lo Statuto dei Lavoratori.  La geolocalizzazione era necessaria per l’adempimento della prestazione e per la sicurezza del rider rispetto ad infortuni o allo smarrimento della posizione nell’espletamento dell’attività lavorativa. Inoltre, i dati non erano soggetti a registrazione e conservazione ma solo utilizzati durante la prestazione.

Insomma, per i difensori della Società è assente il presupposto del lavoro dipendente e cioè la disponibilità del lavoratore verso il datore di lavoro e l’obbligo di prestazione dello stesso.

Si attendono ora le necessarie motivazioni della Sentenza entro 60 giorni.

Per un ordinato ed equilibrato sviluppo sociale non si può puntare solo sulla speranza che i giudici li dichiarino “dipendenti” ma piuttosto su una contrattazione nazionale che ne consenta/permetta la loro tutela grazie anche all’integrazione del Jobs Act.

Infatti, non tutti lavoratori delle piattaforme hanno le stesse aspirazioni, alcuni vogliono restare autonomi, e non desiderano rapporto di dipendenza.

E comunque, per quelli che vorrebbero essere inquadrati come lavoratori dipendenti, il presupposto della subalternità non è giuridicamente facilmente dimostrabile: la legge prevede per i collaboratori dipendenti lo svolgimento di un’attività continuativa, organizzata dal committente in tempi e luoghi determinati e ciò non sembra abbia luogo per i fattorini della c.d. gig economy.

Anche se la Legge Fornero del 2012, originariamente prevedeva la possibilità di dichiarare dipendente chi lavorava con unico committente, il Jobs Act prevede, per particolari esigenze produttive ed organizzative (e l’esempio potrebbe essere anche il caso del lavoro con le piattaforme digitali) l’ammissibilità delle collaborazioni ma in ambito di accordi collettivi nazionali firmati da organizzazioni dei lavoratori più rappresentative. Per cui la soluzione potrebbe essere ricercata nell’ambito di accordi collettivi per i lavoratori delle piattaforme, siano autonomi o dipendenti. Una traccia potrebbe essere rappresentata da co.co.co. con una tutela essenziale ma rinforzata oltre che sulla previdenza anche sull’assistenza e anche sulla salute e sicurezza. Negli altri paesi la strada sembra tracciata in questo senso: con uno schema di tutele essenziali e non rigido che possa coprire un ampio spettro di lavoratori, con prestazioni di lavoro autonomo e/o dipendente. In Gran Bretagna è emersa giuridicamente la nuova figura del “worker”, né autonomo, né dipendente ma con tutele essenziali quali il salario minimo. Anche in Francia le nuove figure, riconosciute dal legislatore, non si connotano come dipendenti ma, nemmeno come autonomi ma hanno il riconoscimento di alcune garanzie fondamentali. Negli Stati Uniti, gli avvocati di tali categorie di lavoratori (ad es. gli autisti di Uber) nelle cause non chiedono la qualifica di dipendenti ma salario minimo, rimborsi spese, tutele dagli infortuni e diritti previdenziali. In Italia qualche sperimentazione si è concretizzata nell’ambito della contrattazione aziendale nel settore del credito, uno di quelli maggiormente soggetti all’innovazione della digitalizzazione del lavoro. In relazione alla figura dei consulenti finanziari, figura già ora caratterizzata dalla presenza sia di lavoratori autonomi che dipendenti, è stato previsto il contratto misto, una sorta di doppio contratto con tre giorni di lavoro settimanale autonomo e due giorni di lavoro dipendente. Le prime timide assunzioni sono già avvenute.